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Quando essere felici è un obbligo

La “Felicità Obbligatoria” dei Social Media: Quando Nascondere la Tristezza Fa Male

Nell’universo scintillante dei social media, dove regna sovrana l’immagine di perfezione e successo, c’è un’emozione che spesso viene nascosta, soffocata, negata: la tristezza. Sentirsi tristi, vulnerabili, fragili, sembra quasi un’eresia in un mondo che celebra solo la felicità, il divertimento, la positività a tutti i costi. Ma cosa succede quando questa “felicità obbligatoria” ci impedisce di esprimere le nostre emozioni autentiche e di chiedere aiuto quando ne abbiamo bisogno?

La maschera della felicità 

I social media ci invitano a mostrarci sempre al meglio, a condividere solo i momenti più belli e gratificanti della nostra vita. Come spiega la sociologa Erving Goffman (1959) nella sua teoria della “drammatizzazione”, sui social media “recitiamo una parte”, indossiamo una maschera per presentarci agli altri nel modo in cui vogliamo essere visti. E la maschera che va per la maggiore è quella della felicità, dell’entusiasmo, della spensieratezza. La tristezza, la fragilità, il dolore, vengono relegati dietro le quinte, nascosti allo sguardo degli altri.

La paura di essere giudicati

Ma perché nascondiamo la tristezza sui social media? Uno dei motivi principali è la paura di essere giudicati, di essere percepiti come deboli, inadeguati, “negativi”. In un mondo che celebra la forza, l’ottimismo, la positività tossica, mostrare la propria vulnerabilità può essere visto come un segno di debolezza. Come afferma il psicologo Brené Brown (2012), “la vulnerabilità è il cuore del coraggio”. Ma in un contesto social come quello attuale, dove il confronto e la competizione sono all’ordine del giorno, esporre la propria vulnerabilità può essere un atto di coraggio che pochi sono disposti a compiere.

Le conseguenze del silenzio

Nascondere la tristezza, fingere di essere sempre felici, può avere gravi conseguenze sulla salute mentale:

  • Isolamento sociale: La paura di essere giudicati può portare a isolarsi dagli altri, a evitare il contatto sociale e a rinchiudersi in se stessi.
  • Aumento dell’ansia e della depressione: Reprimere le proprie emozioni può aumentare i livelli di ansia e depressione. (Greenberg, 2015)
  • Difficoltà a chiedere aiuto: La vergogna di mostrare la propria vulnerabilità può impedire di chiedere aiuto quando se ne ha bisogno.
  • Distorsione della realtà: La “felicità obbligatoria” dei social media può creare una visione distorta della realtà, facendoci credere che tutti siano felici tranne noi.
  • Perdita di autenticità: Nascondere le proprie emozioni autentiche può portare a una perdita di contatto con se stessi e con i propri bisogni.

Rompere il silenzio

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È fondamentale rompere il silenzio e dare spazio alla tristezza, sia online che offline. Ecco alcuni consigli:

  • Condividere le proprie emozioni con persone fidate: Parlare con amici, familiari o un professionista della salute mentale può aiutare a elaborare le proprie emozioni e a sentirsi meno soli.
  • Essere autentici sui social media: Non aver paura di mostrare anche le proprie fragilità e i momenti di difficoltà. La vulnerabilità autentica può creare connessioni più profonde e significative.
  • Limitare l’uso dei social media: Ridurre il tempo trascorso sui social media può aiutare a diminuire il confronto sociale e la pressione di essere sempre “felici”.
  • Praticare l’autocompassione: Trattarsi con gentilezza e comprensione, accettando le proprie emozioni senza giudizio. (Neff, 2003)
  • Cercare supporto professionale: Se la tristezza è persistente e invalidante, è importante chiedere aiuto a un professionista della salute mentale.

Conclusione

La tristezza è un’emozione umana naturale e necessaria. Non dobbiamo vergognarci di provarla, né dobbiamo nasconderla per paura di essere giudicati. Rompere il silenzio e dare spazio alla tristezza, sia online che offline, è un atto di coraggio e di autenticità che ci permette di prenderci cura di noi stessi e di costruire relazioni più autentiche e significative. Come scrive il poeta Khalil Gibran, “la tristezza è un muro tra due giardini”. Ma a volte, abbattere quel muro può portare a scoprire una bellezza inaspettata.

Bibliografia

  • Brown, B. (2012). Daring greatly: How the courage to be vulnerable transforms the way we live, love, parent, and lead. Gotham Books.
  •  Goffman, E. (1959). The presentation of self in everyday life. Anchor Books.
  • Greenberg, L. S. (2015). Emotion-focused therapy: Coaching clients to work through their feelings. American Psychological Association.   
  • Neff, K. (2003). Self-compassion: An alternative conceptualization of a healthy attitude toward oneself. Self and Identity, 2(2), 85-101.   

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