Competenti ma insicuri: una trappola che costa cara

Competenti ma insicuri: una trappola che costa cara

Hai solo avuto fortuna?

Quante volte, dopo un successo, ti è capitato di pensare: “È andata bene… ma poteva andare diversamente”?
Oppure, davanti a un complimento, hai reagito con un sorrisetto imbarazzato, minimizzando: “Mah… ho solo fatto il mio dovere”. Benvenuto nella sottile trappola della sindrome dell’impostore: una dinamica psicologica che colpisce, con precisione chirurgica, proprio chi ha talento e senso di responsabilità.

È un paradosso elegante: più cresci, più ti senti inadeguato. Più ottieni risultati, più pensi che siano frutto del caso. Il timore latente è quello di essere “smascherato”, come se un giorno qualcuno venisse a dirti: “Ti abbiamo scoperto. Non eri davvero all’altezza.”

Il concetto è stato introdotto nel 1978 dalle psicologhe Pauline Clance e Suzanne Imes, che studiavano donne ad alte prestazioni professionali. Ma oggi sappiamo che riguarda indistintamente uomini e donne, manager, professionisti, imprenditori. Persone abituate a performare, ma che non riescono a interiorizzare il merito. Lo attribuiscono a fattori esterni: fortuna, contesto favorevole, tempismo. Non dicono: “Ho fatto bene.” Dicono: “È andata bene.”

Quando l’insicurezza indossa il tailleur o la giacca

Nel mio lavoro di coach incontro spesso professionisti che convivono con questa dinamica senza saperlo. Alcuni rimandano sistematicamente i progetti per “prepararsi meglio”, altri rifiutano visibilità per “non sembrare troppo ambiziosi”. Altri ancora entrano in ipercontrollo o micro-management, nel tentativo di non farsi cogliere in fallo.

Questo autosabotaggio raffinato ha un impatto diretto sulla qualità della vita professionale. Chi è guidato da una voce interna che sussurra “Non sei abbastanza”, si logora, trasmette insicurezza e, spesso, prende decisioni di corto respiro.
Non parliamo di umiltà — parliamo di un limite interno che toglie energia, lucidità e autenticità.

Un esercizio semplice, per un risultato potente

Ti propongo uno strumento molto pratico, che chiamo “Archivio del Merito”. Serve a ricostruire una percezione sana e responsabile del proprio valore. È un piccolo rituale quotidiano per interrompere la narrazione distorta della sindrome dell’impostore.

Come funziona:

  • Ogni sera, per una settimana, annota una cosa che hai fatto bene nel corso della giornata.

  • Poi chiediti: “Cosa ho messo io in quel risultato?” (una competenza, una scelta, un atteggiamento).

  • Annotalo. Anche solo in poche righe. Può essere su carta, su un file, su un’app di note.

Alla fine della settimana, rileggi le voci. Stai creando una banca dati concreta del tuo valore, una controprova interna contro la vocina sabotante. Non si tratta di gonfiare l’ego, ma di ricominciare a fidarsi di sé, su basi oggettive.

Il coraggio di riconoscersi

Riconoscere il proprio valore non è presunzione. È responsabilità.
Perché quando una persona competente si auto-svaluta, il danno non è solo individuale: lo paga l’intero sistema di cui fa parte. Un capo insicuro guida peggio. Un collega che si fa piccolo non aiuta il team. Un professionista che non crede in sé non è convincente, anche se è preparatissimo.

“Chi si sottovaluta professionalmente non è umile. È ingiusto verso la propria storia.”

Impara a raccontartela meglio. E se vuoi farlo con strumenti veri, la strada comincia ogni sera, con una semplice domanda: “Cosa ho fatto bene oggi?”

Bibliografia

  • Clance, P. R., & Imes, S. A. (1978). The imposter phenomenon in high achieving women: Dynamics and therapeutic intervention. Psychotherapy: Theory, Research & Practice;

  • Sakulku, J., & Alexander, J. (2011). The Impostor Phenomenon. International Journal of Behavioral Science, 6(1), 73–92;

  • Young, V. (2011). The Secret Thoughts of Successful Women. Crown Business.