A distanza da 25 anni dall’uscita del film ‘Fight Club’, quelle frasi pronunciate dal Tyler Durden o meglio Brad Pitt, sembra che queste affermazioni abbiano bisogno di essere lette ancora una volta. Pausa, riflettici sopra.
Sei stanco di sentirti definire solo dal tuo ruolo professionale? Ti capita di presentarti a una festa, ad un pranzo o ad un semplice aperitivo e la prima domanda che ti viene fatta è “Che lavoro fai?”, come se la tua intera esistenza si riducesse a questo? Beh, non sei solo!
Viviamo in una società che tende a etichettarci in base alla nostra occupazione, quasi come se il lavoro fosse un tatuaggio indelebile sulla nostra fronte. Ma siamo davvero solo quello che facciamo per guadagnarci da vivere? La verità è che siamo molto di più!
Smettila di indossare la maschera: Dietro la divisa, il tailleur o la tuta da lavoro si nasconde una persona con mille sfaccettature. Sei un amico, un genitore, un appassionato di cinema, un volontario, un sognatore… Insomma, un universo intero che non può essere racchiuso in un semplice titolo professionale. Come diceva Shakespeare, “Tutto il mondo è un palcoscenico, e tutti gli uomini e le donne non sono che attori” (As you like it, 1603). Ma il tuo ruolo sul palcoscenico del lavoro non è l’unica parte che reciti nella vita!
Il lavoro: un mezzo, non un fine: Certo, il lavoro è importante. Ci permette di mantenerci, di realizzare i nostri progetti, di contribuire alla società. Ma non dovrebbe essere l’unico centro della nostra esistenza. Come sostengono Gorz (1988) e Latouche (2003), è fondamentale ripensare il ruolo del lavoro nella nostra vita, mettendo al centro la cura di sé, delle relazioni e dell’ambiente. Insomma, il lavoro è uno strumento per vivere, non la vita stessa!
Spezza le catene dell’autostima: Quanti di noi misurano il proprio valore in base ai successi professionali? Promozioni, aumenti di stipendio, riconoscimenti… Tutto bello, per carità, ma cosa succede quando le cose non vanno come sperato? Rischiamo di cadere nella trappola dell’insicurezza e di sentirci inadeguati. Riscoprire il valore di sé al di là del lavoro, come suggerisce Fromm (1947), ci permette di affrontare le sfide della vita con maggiore serenità e fiducia.
Nutri la tua anima: Cosa ti appassiona veramente? La musica, lo sport, la cucina, la fotografia? Dedica del tempo alle tue passioni, a ciò che ti fa vibrare l’anima. Come spiega Mihàli Csikszentmihalyi (1990) nel suo “Flow”, le esperienze in cui siamo completamente immersi in un’attività, ci regalano un profondo senso di benessere e realizzazione.
Ricaricati le batterie: Non dimenticare di prenderti cura di te stesso, sia fisicamente che mentalmente. Concediti momenti di relax, di svago, di condivisione con le persone care. Impara a dire di no quando sei al limite. Hanley e Williams (2010) nel loro libro “Mindfulness” propongono tecniche di meditazione e consapevolezza per gestire lo stress e coltivare un maggiore equilibrio interiore.
In definitiva, “Tu non sei il tuo lavoro” è un grido di libertà, un invito a vivere una vita autentica, in armonia con i propri valori e desideri. Non lasciare che il tuo badge ti definisca: c’è un mondo di possibilità oltre l’ufficio!
Note:
- Shakespeare, W. (1603). As you like it.
- Gorz, A. (1988). Metamorphoses du travail: critique de la raison économique. Paris: Galilée.
- Latouche, S. (2003). Decrescita: un’alternativa per la sopravvivenza dell’umanità. Torino: Bollati Boringhieri.
- Fromm, E. (1947). Man for himself: An inquiry into the psychology of ethics. New York: Rinehart.
- Csikszentmihalyi, M. (1990). Flow: The psychology of optimal experience. New York: Harper & Row.
- Hanley, J. P., & Williams, M. (2010). Mindfulness: An eight-week plan for finding peace in a frantic world. London: Rodale.